Onorevoli Colleghi! - L'esigenza di una riforma radicale della materia di cui alla legge n. 153 del 1971 non è solo dettata dai cambiamenti epocali in atto nelle comunità e dal modo nuovo di concepire la politica linguistica e culturale italiana verso il mondo, ma è anche il frutto di una preziosa memoria storica. Fin dall'inizio della storia dell'emigrazione italiana, accanto alle sfide della solidarietà, le comunità emigrate hanno sempre ritenuto prioritari l'insegnamento e la preservazione della lingua italiana. Questa fedeltà alla lingua ha di fatto permesso alla comunità di origine italiana di mantenere, pur nella piena integrazione nel Paese di accoglienza, tratti culturali specifici che permettono all'Italia un legame profondo con gli oriundi.
      La concessione del diritto di voto ai cittadini italiani residenti all'estero ha poi reso ancora più evidente il fatto che anche gli italiani all'estero devono godere di diritti e di doveri specifici che non possiamo ignorare.
      Il Presidente della Repubblica Ciampi ha dichiarato solennemente nel giorno del suo giuramento: «Gli italiani nel mondo costituiscono parte integrante di questa Nazione. Sono una cosa sola con l'Italia». E nel discorso tenuto alla seconda sessione della Conferenza Stato-regioni-province autonome-Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE) nel 2005, egli ha ribadito:

 

Pag. 2

«I nostri connazionali sono un ponte prezioso con culture diverse, mantenendo intatti i valori e i tratti distintivi dell'italianità: gli affetti familiari, l'amore per la terra, la dignità nel lavoro, una profonda umanità, la tenacia, l'ingegnosità. Condividono con gli italiani in Patria la consapevolezza di essere parte di un'unica grande Nazione, indipendentemente dai confini geografici».
      A taluni potrà sembrare strano che noi parliamo di un diritto da salvaguardare nei confronti di italiani, oriundi e italofili residenti all'estero. Ma con l'introduzione del voto all'estero nella Costituzione italiana, che ha sancito il diritto di cittadinanza attiva per gli italiani residenti fuori dai confini nazionali, dobbiamo sempre di più parlare di una «nazione» globale. Per rendere gli abitanti di questa «nazione» protagonisti occorre introdurre la tutela dei diritti soprattutto in ambito linguistico e culturale, altrimenti è inevitabile una condanna alla invisibilità e alla marginalità democratica. Di fronte a noi stanno le sfide di una «Patria grande», che non muore in uno Stato.
      La necessità di un intervento legislativo in materia è dunque impellente. Siamo confrontati con un nuovo orizzonte e con un mutamento profondo dell'emigrazione italiana. Si sono ridotti drasticamente gli esodi «forzati» dall'Italia. Anche in Europa, come era già avvenuto in altre parti del mondo, oltre ai cittadini italiani a tutti gli effetti, la categoria degli «oriundi» è una realtà che si sta sempre più consolidando.
      Siamo consapevoli che nel recente passato la diffusione della lingua e della cultura italiana era intesa come strumento per eccellenza per mantenere vivo il legame di appartenenza e l'identità degli italiani soprattutto in Europa, da dove si ipotizzavano rientri massicci. In questo senso è stata concepita la legge n. 153 del 1971, successivamente integrata e modificata per recepire le esigenze sociali e culturali dell'emigrazione.
      Oggi i destinatari (referenti-utenti) della legge sono sempre più persone nate, cresciute e integrate nei Paesi di accoglienza, per cui la riforma che presentiamo intende operare un passaggio da un sistema assistenzialistico a un impegno di promozione e, in alcuni casi, di rivalutazione della lingua e della cultura italiana. Siamo sollecitati dai cambiamenti in atto a superare la fase della nostalgia e dell'assistenzialismo in campo linguistico e culturale.
      Nel nuovo contesto l'iniziativa culturale diventa prevalente poiché sono sempre meno coloro che presentano una domanda di lingua, mentre saranno sempre più numerosi coloro ai quali si potrà offrire una proposta culturale, anche in lingua nativa. Il cambiamento richiede un intervento di natura diversa anche dal punto di vista didattico-pedagogico.
      La riforma della materia e il modo nuovo di promuovere la lingua e la cultura italiana nel mondo costituiscono un valore e una priorità irrinunciabili. In una politica a medio e lungo periodo cesseranno i problemi di natura assistenziale. Quello che invece rimarrà - se incentivato - sarà il desiderio di «radici e cultura».
      Ancora una volta tornano in mente le parole del Presidente Ciampi: «nonostante la distanza geografica e l'integrazione nei Paesi di accoglienza, gli italiani nel mondo preservano le loro radici. L'Italia deve coltivare queste radici: promuovendo la lingua e la cultura italiane». E ancora: «lì dove questo vincolo si è attenuato con il trascorrere del tempo, è importante ritrovarlo».
      A nessuno può sfuggire la necessità di una riforma radicale e di un investimento prioritario nella promozione della lingua e della cultura. Se infatti questo non avviene possiamo fin da ora dichiarare conclusa ogni politica migratoria da parte dell'Italia. Fra qualche anno ci saranno molti milioni di persone con cognome italiano, ma nulla più.
      La lingua italiana è passata da «lingua etnica» a «lingua di cultura e lavoro» e la sua conoscenza è divenuta uno strumento per inserirsi nel mondo del lavoro, una qualità spendibile nel portafoglio linguistico, come dimostra tra l'altro la crescente richiesta di insegnamento dell'italiano non solo o non tanto tra i nostri connazionali quanto nelle scuole locali di
 

Pag. 3

altri Paesi. E cresce a ritmo continuo la richiesta di lingua e cultura italiana nel mondo grazie alle nuove tecnologie: il portale della «Dante Alighieri» - tanto per esemplificare - ha registrato 4.357.000 accessi nei primi due mesi del 2007, di cui il 46 per cento proveniente dall'estero.
      La riforma che proponiamo è rivolta a tutti e non solo ai figli degli italiani. I corsi di lingua e cultura italiana devono essere integrati nel sistema scolastico locale, un assunto che deve impegnare lo Stato italiano a firmare convenzioni bilaterali con altri Stati o regioni per favorire tale prassi.
      La presente proposta di legge, tuttavia, non tralascia anche il diritto, magari attraverso il supporto delle regioni, a forme più leggere di intervento linguistico là dove questa integrazione non è ancora possibile.
      La concertazione del programma passa attraverso il «piano Paese», uno strumento atto a rispettare i bisogni specifici delle singole nazioni, democratico perché coinvolge tutte le componenti di una comunità, ideale per garantire una equa distribuzione dei fondi secondo i bisogni di tutto il Paese di accoglienza, scavalcando eventuali interessi di parte.
      Al fine di qualificare una cooperazione pubblico-privata, la presente proposta di legge prevede verifiche puntuali dell'operato degli enti gestori, che dovranno offrire adeguate garanzie di organizzazione e amministrazione, e, in pari tempo, un'attenta verifica dei risultati ottenuti nell'insegnamento. Alla realizzazione di queste attività potranno concorrere soltanto enti e iniziative sottoposti a procedure di accreditamento attestate dalla certificazione di qualità rispondente alle norme UNI-ISO 9001.
      La rilevanza dei corsi di lingua e di cultura italiana, relativamente alle competenze linguistiche acquisite e alla loro spendibilità sul mercato del lavoro, ha ricevuto un fortissimo impulso dalle nuove forme di certificazione rilasciate da università ed enti accreditati presso l'ALTE (Associazione dei certificati linguistici europei), una prassi che ha suscitato un vasto interesse nelle istituzioni scolastiche dei Paesi di accoglienza.
      La presente proposta di legge prevede un rafforzamento della professionalità in loco, mentre allo Stato spetta il diritto-dovere di garantire la formazione e l'aggiornamento degli insegnanti: un punto qualificante della politica culturale. A tale scopo presso i consolati generali o le ambasciate di riferimento sarà istituito un ufficio di coordinamento delle attività formative, degli interventi e dei servizi, assegnato a dirigenti scolastici.
      Il personale docente assunto dagli enti gestori dovrà rispondere a criteri di certificazione e di accreditamento, secondo il regolamento di attuazione della legge. Al personale docente assunto in loco è fatto l'obbligo di frequentare il ciclo di formazione e di aggiornamento predisposto dal Ministero degli affari esteri.
      Uno degli impedimenti più gravi alla promozione culturale all'estero è imputabile alla parcellizzazione degli interventi, alla mancanza di sinergia tra le direzioni e i Ministeri coinvolti in questo processo e spesso ad una marcata concorrenzialità.
      La proposta di legge, al riguardo, invoca una gestione unica dell'applicazione della nuova disciplina in tutti i suoi aspetti. Il motivo è semplice: di fatto la Direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie (DGIEPM) è quella che da sempre ha manifestato un'attenzione alta e ha coltivato un interesse precipuo per le comunità. Per di più essa è la più idonea ad attivarsi nel campo delle convenzioni.
      È necessario che in ambito linguistico si instauri un circuito sinergico autentico fra tutti i soggetti interessati al fenomeno. Spesso si è fatto riferimento ai danni causati dai sussidi a pioggia in ambito linguistico e culturale. I risultati sono ben peggiori quando si analizzano gli investimenti portati avanti senza alcuna strategia unitaria.
 

Pag. 4